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DOVE VA L’AGRICOLTURA?

DOVE VA L’AGRICOLTURA?

 

 

Ho sentito in quest’ultimo periodo un autorevole uomo politico affermare che l’Europa è nata sugli interessi dei Paesi fondatori.

Sarà anche vero, ma forse si dimentica quel pensiero fondatore di “Un’Europa Libera e Unita” che dall’Isola di Ventotene tre uomini fra le mura di una prigione impressero su fogli di carta.

Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, avevano già proiettato la loro visione oltre quell’atroce guerra che si accanì anche contro innocenti ed inermi uomini e donne, ebrei e non solo.

Forse si dimenticano quegli uomini che nel 1957 (un secolo fa) firmarono l’atto costitutivo della CEE: Antonio Segni, Gaetano Martino; Christian Pineau, Maurice Faure; Konrad Adenauer e Walter Hallstein; Paul-Henri Spaak; Snoy er d’Oppuers; Joseph Luns e J. Linthorst Homan; Joseph Bech e Lambert Schaus. Senza dimenticare l’instancabile, lungimirante e ispirata azione di De Gasperi.

Oggi, a distanza di 67 anni e con l’agricoltura ancora madre dell’Europa, sulla bocca della politica, un poco affaticata, continua ad affiorare quell’acronimo che avrebbe dovuto far rinascere l’economia post pandemica: il PNRR.

Pur con qualche amarezza dobbiamo constatare che quegli oltre 200 MLD di euro, in una percentuale forse già superiore a due cifre, è evaporata grazie all’alta inflazione e a “qualche” ritardo progettuale.

Ma ancora la politica si ostina a ritenere che le significative risorse del PNRR avvieranno le riforme e il consolidamento di un modello solido di sviluppo. Mi sovviene così il ritornello della canzone. Fiorivano le viole di Rino Gaetano: “spendi, spandi, spandi e spendi, effendi; spendi e spandi, spandi e spendi, effendi”.

E le riforme?

Ogni giorno pronunciamo la nostra litania: dacci oggi la nostra riforma quotidiana, soprattutto per quel settore agricolo che in un ritorno al passato, evocato da qualcuno, crede di creare una nuova forma di produzione che ritorna al modello fordista.