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DICIOTTI …. IL MERCATO UMANO

DICIOTTI …. IL MERCATO UMANO

Se mi chiedete cosa penso delle migrazioni bibliche di questi ultimi anni, vi risponderò che interrogano la storia, la nostra e la loro storia.

Se mi chiedete cosa penso delle azioni che i Governi europei hanno messo in atto per affrontare questo problema, vi risponderò che abbiamo riempito fosse e … canali di chiacchiere, ostruendo il passaggio di qualsiasi politica concreta di sviluppo delle aree sottosviluppate.

Se mi chiedete cosa penso del comportamento di “questo”, del nostro Governo in merito ai migranti, vi risponderò che apprezzo solo una parte della loro proposta, quella che interroga la politica europea. Non avverto però, oltre alla domanda rivolta ai partner europei, consequenziali iniziative che determinino un concreto cambio di marcia delle politiche dell’immigrazione. Ancora una volta, con disinvoltura coloniale, per l’ennesima, riusciamo a parlare di Pace nelle sedi istituzionali ma operiamo azioni di guerra (interessata e strumentale). Ancora una volta pensiamo al blocco dell’immigrazione con muri, fili spinati, e qualche freno meno descrivibile. Nel frattempo le politiche di cooperazione internazionale, cadono nel dimenticatoio e delle forze armate dell’ONU, ce ne siamo dimenticati.

Tutti sono consapevoli che coniugare solidarietà, accoglienza di uomini e donne del terzo mondo (nel passato, Asia, Est Europa, oggi in particolare Africa) con le politiche di crescita e sviluppo, ovvero di garanzia delle qualità della vita, non è assolutamente facile, soprattutto quando le condizioni economico e sociali in casa propria diventano difficili. Quando cioè le povertà e le difficoltà si diffondono a macchia d’olio nelle tue comunità (la società dei due terzi degli anni ottanta va ribaltandosi negli anni 2000 a discapito del ceto medio). Tutti avvertono che accoglienza non è, e non può essere, “spandimento” di gruppi di persone nei territori, e questo genera una diffusa e sempre più rabbiosa rivolta verso l’immigrazione. La sostenibilità di persone immigrate non può prescindere dalla capacità di una nazione di “includerle” socialmente, culturalmente e economicamente. Ciò che anche a occhio nudo si vede, ormai diffusamente, è certamente altro. Stazioni, strade, contrade, luoghi commerciali sono invasi da un’onda anomala di poveri, senza fissa dimora, che vivono di espedienti e … di altro. La percezione dell’invasione è avvertita come una vera e propria epidemia. Tutti sanno che politiche di inclusione  dagli anni ottanta ad oggi sono state affrontate e che percentuali elevate di terzomondiali sono state inserite nei lavori: badanti, mungitori, operai nei settori siderurgici, muratori, commercianti, artigiani hanno colmato lacune di offerta nostrana (fors’anche per qualche errore strategico e qualche distrazione di troppo nei percorsi d’istruzione e formazione professionale)i dati dell’INPS lo confermano, ma anche una terra arida non riprende la produzione se continui ed improvvisi temporali la saturano d’acqua.

Ed allora la strada per affrontare seriamente e concretamente il problema immigrazione è una sola ed è vincolata e vincolante: il Governo i Governi europei aprano una conferenza sull’immigrazione, che certamente non potrà prescindere dalle prospettive del’Unione Europea quale processo inarrestabile di consolidamento della civiltà occidentale.

Ma nell’attesa di un pensiero strategico, che appare remoto, i problemi causati da fatti congiunturali ed emergenziali richiedono interventi straordinari e immediati.

Questa costante emergenza fa scattare in me quella profonda anima, quel pensiero, che mi recupera la linfa prodotta da radici millenarie di storia ispirata. I migranti sono uomini e donne vanno sempre soccorsi. Un soccorso che non può e non deve essere trasformato strumentalmente in clava politica o merce ricattatoria fra posizioni politiche interne o fra gli stati. La politica quando è alta sa porre le questioni in modo alto, non abbassandosi a comportamenti che intaccano la stessa qualità del governare. E se il popolo viene prima dello Stato è lo Stato che deve essere  in grado di valorizzare il popolo. Per affrontare la piaga dell’immigrazione, si battano pure i pugni a Bruxelles, si avanzino proposte politiche concrete nelle sedi  dell’Unione Europea, si mettano in atto politiche vere inclusive, anche per le nostre povertà, ma non si mettano le persone “delle” Diciotti sotto i tre bussolotti, nemmeno adesso che sono sbarcate. Con questi toni e con questi atteggiamenti non si va da nessuna parte. Così come non servono asettiche solidarietà, o costruire fossati e muri. La politica degli esodi e delle migrazioni va affrontata con una sfida di civiltà e il nostro Paese ha il dovere storico di farsi locomotiva di un nuovo e ambizioso progetto di sviluppo e di pace di troppe aree martoriate del pianeta.

E non dimentichiamo che parliamo di … le persone e non di numeri statistici.

Dimenticavo.

Un collega mi imputa di impegnarmi e di esprimermi su temi che non riguardano la categoria, forse anche questa limitata visione scaturisce da una inadeguatezza a comprendere fino in fondo il nostro ruolo rappresentativo.

Il terzo mondo ha meno fame, grazie anche a politiche di cooperazione dove i Periti Agrari e Periti Agrari Laureati hanno svolto e svolgono progetti “missionari” di qualità.

Nel merito, invece  del ponte Morandi di Genova, forse questo collega non ha capito che anche su questi drammi si vive la contraddizione del ritardo applicativo dei principi di sussidiarietà. Principio che ha ispirato e ispira numerose proposte di legge che coinvolgono anche i Periti Agrari e Periti Agrari Laureati. E anche se non avessimo alcuna attinenza professionale occuparsi del nostro Paese è comunque un dovere Etico che ci appartiene totalmente e noi non ci faremo sterilizzare col pensiero corto di qualche poco ispirato collega.