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RICAMBIO GENERAZIONALE IN AGRICOLTURA UNO DEI PIÙ GRANDI RITARDI CHE SCONTA IL PAESE - intervista al Presidente BRAGA

FONTE: AGRAPRESS 

 

Calano gli iscritti alle facoltà di Agraria a vantaggio di altre facoltà e questo non va bene. A dirlo è il presidente del Collegio dei Periti agrari e periti agrari laureati Mario Braga e già da queste parole si comprende qual è il suo pensiero su: l’istruzione agraria. Numerosi e interessanti sono i suoi riferimenti al marchese Cosimo Ridolfi, agronomo dell’ottocento creatore del primo Istituto Agrario in Italia. Con entusiasmo e competenza Braga, nato e formatosi nella Brescia di Mino Martinazzoli, parla in questa intervista di istruzione e di molte altre questioni ed in particolare del ricambio generazionale in agricoltura che – non si stanca di ripetere – tarda ad arrivare.

Come spiega il fatto che non ci sia ricambio in agricoltura?

Il ricambio generazionale in agricoltura è uno dei più grandi ritardi che sconta il nostro paese, vantando in Europa l’età media più alta, credo derivi da l’aver trascurato e sottovalutato, ovvero affrontato inadeguatamente la questione. Nella migliore delle ipotesi la trasmissione delle aziende avviene da padre in figlio con una certa riluttanza degli anziani a lasciare. Fenomeni di invecchiamento degli imprenditori agricoli e di ritardo innovativo – poco più del 15% delle imprese agricole italiane è informatizzato – sono elementi fra loro connessi e siamo già nel bel mezzo dell’era dell’Intelligenza Artificiale.

Qual è la prospettiva?

In tempi brevi, 100.000 e più aziende per sopraggiunti limiti d’età chiuderanno. Il che porta con sé un rischio di abbandono di aree interne e marginali.

Gli istituti agrari potrebbero contribuire in qualche modo a contrastare questo trend?

Purché abbiano autonomia gestionale. Queste scuole sono in Italia un patrimonio unico al mondo da raccordare con le imprese con il coinvolgimento del Masaf. Io credo, e continuo ostinatamente a credere, che la scuola tecnica agraria debba essere gestita non solo dal ministero dell’Istruzione, ma anche dal Masaf che, insieme ai professionisti, ai tecnici dell’area agricola e alle imprese affronti non solo i contenuti dei programmi didattici ma, soprattutto, quell’alternanza scuola/lavoro che non può essere condensata in poche decine di ore. Processo indispensabile per accompagnare i giovani dentro il lavoro. Qualcuno rilegga il programma di fondazione della prima scuola agraria al Meleto di Siena, di Ridolfi, che accolse i primi allievi il 2 febbraio 1834. Per la necessità di raccordare scuola, lavoro, ricambio e elevazione professionale generazionale le Scuole Tecniche Agrarie dovrebbero rientrare a pieno titolo nella PAC e non essere relegate a rincorrere sporadicamente finanziamenti straordinari.

Le aziende condotte da giovani istruiti godono di migliore salute rispetto alle altre?

I dati che ogni giorno vengono presentati dagli istituti ed enti di ricerca dicono che le aziende che si sono sviluppate e innovate sono proprio quelle gestite da giovani con titolo di studio di secondaria superiore o universitario.

Di fronte alla glaciazione demografica è ben poca cosa però…

La glaciazione demografica esiste per tutti gli indirizzi ma coinvolge in forma meno grave gli ITA se pensiamo che i giovani scelgono gli indirizzi tecnici marginalmente. Abbiamo invece una seria difficoltà a riconnettere il valore del lavoro intellettuale con la terra attraverso vere e concrete azioni di orientamento. Vi è poi il problema costituzionale irrisolto degli istituti professionali tesi a rincorrere gli istituti tecnici e meno attenti a professionalizzare operatori e lavoratori competenti. Soprattutto in questa fase storica, gli istituti professionali potrebbero essere orientati anche ad attuare politiche inclusive per gli immigrati con l’obiettivo di alfabetizzarli e professionalizzarli.

Spesso lei denuncia l’incomunicabilità tra ricerca e aziende, perché?

Il nostro paese ha istituti di elevato e comprovato spessore tecnico scientifico, come il Crea, il Cnr, Enea, gli enti di ricerca regionali, le Università che sfornano un numero elevatissimo di “risultati” innovativi che faticano a trasferire alle imprese perché mancano – o meglio sono deboli – le cinghie di trasmissione. Gli Enti di ricerca “non” hanno un raccordo strutturato con i più di centoventi Istituti Tecnici Agrari e spesso anche con gli atenei e quando questo positivo si è attuato è risultato episodico. Questo fenomeno ha determinato l’indebolimento e il ritardo dello strutturarsi dell’assistenza tecnica agraria, delegandone la funzione essenzialmente alle ditte produttrici di prodotti e strumenti per l’agricoltura.

Cosa ci vorrebbe per invertire la tendenza?

Il Governo dovrebbe aprire un Tavolo Tecnico partecipato da professionisti e organizzazioni agricole che, in modo strutturato, sostenga progetti sperimentali di nuovi indirizzi tecnici a livello secondario e terziario (ITS), e universitario.

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