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LA FEM 150 ANNI … DI STORIA

LA FEM 150 ANNI … DI STORIA

 

 

L’occasione è di quelle che segnano una “tappa della storia di un territorio, dei suoi giovani, delle sue genti”. E nella radice di questa terra il 150° anniversario della fondazione della Scuola Edmund Mach non poteva che iniziare nella chiesa di San Michele all’Adige, con alcuni brani letti anche in tedesco. Sì perché nel 1874 questa era la terra del Tirolo.

Ma la scuola agraria di San Michele all’Adige, che ha tracciato la storia dello straordinario riscatto del Trentino e dell’Alto Adige, porta con sé quel patrimonio di stretta relazione col territorio che ne fanno “il sistema” formativo, scolastico, universitario, della ricerca e sperimentazione a cui l’Italia dovrebbe guardare, partendo da quella competenza istituzionale che qui, solo qui è demandata all’Assessora all’Agricoltura e non alla Pubblica Istruzione. Lo sa bene la Dr.ssa Zanotelli, che qui si sente a casa, perché frequenta questa “casa”.

Ma si sa le celebrazioni si vestono spesso di retorica e di una memoria dolcificata. Ma alla Edmund Mach, per non correre questo rischio, hanno affidato il compito di presiedere il Comitato Organizzatore delle celebrazioni al Prof. Attilio Scienza, uno che da queste parti ha lasciato un segno indelebile, insieme ad altri esimi direttori, presidenti, presidi, consigli e operatori.

Ed è per non scadere nella retorica celebrativa che riportiamo parti significative e ispiranti del Suo intervento.

Il relatore non si attardato a consuete premesse e da subito ha affondato le sue parole in quel tempo che oggi è questo tempo che fa della memoria le radici della nostra storia.

-Il “ricordare“ da parte di un individuo che getta uno sguardo all’indietro sulla sua vita è cosa diversa dal ricordare collettivo, che rappresenta  una specie di prosecuzione, di continuità  e che dà alla cultura del ricordo e  della memoria culturale, il nome di tradizione (ed io affermo di storia).

Per potersi fissare nella memoria di un gruppo di persone, gli oggetti del ricordo devono presentarsi nella forma concreta di un evento, di una persona, di un luogo, di un oggetto, che diventano così le figure di ricordo.

L’aspetto più interessante è però la sua ricostruttività: la memoria viene continuamente riorganizzata dal presente in continuo cambiamento. Non si tratta di memoria comunicativa che comprende i ricordi che si riferiscono al passato recente ma di memoria cosiddetta culturale che si coagula attorno a figure simboliche alle quale viene agganciato il ricordo della istituzione, di eventi sia tristi che felici.

Sono le feste o le celebrazioni che attualizzano il passato fondante, sono i riti con le loro prescrizioni che lo trasmettono.

Le celebrazioni diventano così un monumento, un luogo dello spirito,da monumentum,parola latina  che racchiude la radice indo-europea men,da cui mens,l’intelligenza e la ragione e memini, il ricordarsi,pensare,riflettere , ciò che resta nella memoria. 

Il filo conduttore di tutta la storia dell’Istituto può essere riassunta in una sola parola : il cambiamento, In italiano ci sono 20 parole per dare contenuto alla parola cambiamento ,e l’Istituto agrario di San Michele nasce per produrre un cambiamento e non solo nelle conoscenze agricole, ha operato  per essere motivo  di  cambiamenti, si proietta nel futuro con progetti di cambiamento

 

Per inquadrare la storia dell’Istituto è necessario rivolgere lo sguardo alle fasi dello sviluppo scientifico europeo del 1700 e 1800 perché li sono  le premesse della sua nascita e del suo sviluppo.

Nietzsche affermava che per conoscere l’altezza delle torri della tua città, allontanati, esci da essa. Questa metafora ci suggerisce di allontanarci dalla contemporaneità per andare ad esplorare le radici della nostra storia ..

Alla base delle radici dell’Istituto agrario di S.Michele ,l’imponente  fenomeno culturale che ha attraversato l’Europa del ‘700 ,l’Illuminismo , il secolo dei lumi, il “macht licht “ di Goethe 

Gli studiosi dell’Illuminismo erano animati da un’idea semplice: più l’uomo è in grado di comprendere razionalmente il mondo, più riuscirà ad indirizzare la storia secondo obiettivi di benessere. L’illuminismo aveva visto nel futuro una prospettiva di miglioramento nella vita degli uomini.

Due famosi pre illuministi Cartesio  con il metodo scientifico e Bacone con l’utopia  sono   i prodromi di una nuova visione del ruolo dell’uomo nello sviluppo della società .

Questi cambiamenti epocali, inoltre, non interessarono solo l’ambito scientifico ed i suoi “addetti ai lavori”, ma si riversarono rapidamente anche sulla politica e sulla società civile.

Il fermento culturale dei secoli XVIII e XIX, infatti, fu un fenomeno prettamente borghese.

Mi limiterò ad indicare i personaggi e le tappe di questo cammino e che vede la Francia il paese in corsa per porre le nuove basi del progresso scientifico e tecnologico.

Con l’Illuminismo nasce un genere letterario nuovo, caratterizzato dal desiderio di rivolgersi anche a quelle classi sociali che, storicamente, non avevano mai avuto accesso alle conoscenze teoriche e scientifiche, tra cui quella artigiana e, ovviamente, contadina ,  l’Encyclopedie tra il 1751 ed il 1772, porta la firma di Denis Diderot e Jean Baptiste Le Rond d’Alembert, passati alla storia,come due dei più famosi intellettuali del movimento dei Lumi.

 

Per la chimica Lavoisier, nel 1789   con il suo Traité Élémentaire de Chimie, opera assolutamente rivoluzionaria per la scienza, fondatrice indiscussa del pensiero chimico contemporaneo.

Per la biologia Linneo, essenzialista  e creazionista nel 1762   pone le basi per la tassonomia e la classificazione degli organismi .

Con Lamarck sul finire del 1700  si fa strada, in Europa, il nuovissimo concetto di “evoluzione ,   una sintesi soddisfacente sui temi della fissità e del trasformismo delle specie. Questa sintesi era possibile solo con l’introduzione di un approccio ormai irrinunciabile: l’evoluzionismo alla base del quale si esprimono due nuovi concetti il ruolo dell’ambiente e l’utilizzo dell’organo

Per Darwin nel 1859 con L’origine della specie, la mutazione è invece casuale e sviluppata attraverso le generazioni successive attraverso un’opera di selezione naturale ma è il pensiero di Wallace, suo contemporaneo, che dimostra come l’evoluzione fosse il mezzo con cui le specie si adattano alla nicchia ecologica in cui vivono e si adattano.

Il botanico svizzero de Saussure (1767-1845), era dotato di grandissime abilità tecniche, soprattutto per quanto riguarda la pratica sperimentale. Il suo Réchérches chimiques sur la vegetation è primo trattato che spiega in modo organico un processo tanto complesso quanto quello della fotosintesi.

Tra il 1780 ed il 1787, i fratelli Fabbroni pubblicano De l’arte di fare il vino, un libro di grandissimo successo tra gli addetti ai lavori che rappresenta, in Italia, un primo vero approccio chimico alla produzione di vino

Ma si sviluppa verso la metà dell’Ottocento, un processo culturale per il quale la chimica, la biologia, la storia naturale, la fisica, non sono più le sole scienze degne di questo nome ma anche l’agricoltura diventa finalmente, a tutti gli effetti, una disciplina pienamente scientifica.

Con von Liebig, nel suo manifesto di fisiologia vegetale nel 1840, inizia una nuova era per il comparto agricolo, in cui la scienza e l’innovazione tecnica diventano parte fondante della gestione dei terreni e delle produzioni agrarie a attraverso la concimazione minerale.

Anche per le leggi fondamentali dell’eredità di Mendel (il termine genetica sarebbe stato coniato solo più tardi), pubblicate nel 1866 come resoconto della Società di Storia Naturale di Brno  furono trasferite nella pratica agricola molti anni più tardi  ,solo dopo la prima guerra mondiale

Nel luglio 1863, Napoleone III affida ad un giovane professore dell’Università di Strasburgo lo studio del fenomeno e, ovviamente, la ricerca di una possibile soluzione al problema della sofisticazione dei vini francesi destinati al mercato inglese.

 Il ricercatore porta il nome di Louis Pasteur. Nel suo Etudes sur le vin” del 1866, dimostra l’esistenza di piccolissimi e semplici “vegetali”, organizzati in catenelle o strutture bacillari, non osservabili ad occhio nudo, che sembrano essere la causa di diversi difetti del vino, tra cui l’acescenza.

 La “pastorizzazione” in onore del suo ideatore, rivoluzionò il comparto ponendo la parola fine alle controversie commerciali, ed ebbe (e ancora oggi ha) un impatto enorme sull’industria alimentare e farmaceutica.

Un tema fondamentale che ha avuto un ruolo cruciale nello sviluppo della viticoltura dell’800 e del 900 è rappresentato dall’ampelografia   : nasce dal collezionismo  del 700 e dalle intuizioni di Linneo  e trasforma i collezionisti in tassonomi  . 

All’inizio dell’800, per raccogliere tutte le nuove conquiste in ambito botanico, si costruiscono in tutta Europa un grande numero di giardini botanici che ospitano specie floreali provenienti da tutti i territori esplorati, anche oltremare.

Gli ampelografi riconoscono alla botanica il merito di aver impegnato enormi risorse per classificare le specie, e ripropongono lo stesso modello anche per lo studio delle varietà di vite.

Nel 1734, a Lione, nasce un personaggio che avrebbe cambiato per sempre la storia dell’agricoltura e della viticoltura europea: Jean-Baptiste Francois Rozier.

Nel 1780, infatti, l’abate non solo comincia la stesura del suo Corso Completo d’Agricoltura, come pietra miliare e autorità indiscussa per qualunque agronomo e contadino francese nello studio dell’ampelografia, che definisce come la “disciplina che descrive, dal punto di vista della morfologia esterna, i differenti vitigni e li classifica secondo determinati criteri sistematici.

L’Acerbi agli inizi dell’800 intuisce per primo la differenza enorme tra la conoscenza dei botanici e quella degli agronomi.

 Secondo Acerbi, infatti, i botanici non conoscono che poche specie del genere Vitis, e di queste stentano a riconoscere le più importanti varietà coltivate. Diventa dunque necessario, secondo l’Acerbi, fare proprio il modo in cui gli agronomi vedono il mondo vegetale.L’ampelografia allora, secondo l’Acerbi, non è da intendersi come un mezzo per la classificazione botanica, ma lo strumento con cui riconoscere le varietà più desiderabili da un punto di vista agronomico e commerciale (classificazione geoponica).E’ la prima utilizzazione dell’ampelografia ai fini della conoscenza  pratica dei vitigni.

Nel 1841 Odart pubblica Essai d'ampélographie ou description des cépages les plus estimés dans tous les vignobles de l'Europe dove per la prima volta evidenzia la necessità di comprendere in che modo le varietà coltivate di vite cambino i propri tratti fenotipici al variare delle condizioni ambientali.

Questa è una vera rivoluzione del pensiero in ambito viticolo, soprattutto se si considera che le teorie evoluzioniste avrebbero definitivamente sbaragliato l’essenzialismo linneano solo una quindicina di anni più tardi, e che comunque anche l’autorevolissimo parere di Darwin e Wallace impiegò molti anni ad imporsi sul panorama scientifico mondiale.

Quando nel 1865 la fillossera si presenta in Francia i viticoltori europei avevano nella loro faretra una freccia importantissima da scagliare contro le dilaganti epidemie: l’ampelografia.

 Il grande rigoglio di studi ampelografici e di collezioni varietali che aveva interessato l’Europa tra il ‘700 e l’800, infatti, stava ora mostrando i suoi benefici frutti. Innanzitutto, cosa evidente ma non di secondaria importanza, le collezioni ampelografiche di tutta Europa sopravvissute al patogeno, dopo la devastazione della fillossera fungevano da riserva genetica che era alla base della enorme  biodiversità della vite coltivata,che con la fillossera rischiava di scomparire.

Nel 1874, nasce  la Commissione ampelografica internazionale  (che si sciolse nel 1882 ), quando ormai il problema fillosserico aveva trovato rimedio nel portinnesto e quando le fondamenta per una scienza viticola non più territoriale, ma universale, erano state gettate con successo.

E qui entra in scena a livello internazionale per la prima volta Mach, in qualità di direttore dell’Istituto Agrario Provinciale di San Michele all’Adige, neonata istituzione austro ungarica del Tirolo meridionale, invitato tra le grandi personalità a prendere parte al consesso.

Provate ad immaginare a quali sollecitazioni Mach ed i suoi contemporanei sono sottoposti durante l’800 ed a quali stimoli deve rispondere la loro creatività scientifica.

Nelle parole di Bacone si profetizza quella visione “utopica” che attraverso la conoscenza rende possibile emancipazione delle colture dagli stimoli incontrollati dell’ambiente esterno: “In questi stessi frutteti e giardini facciamo nascere artificialmente piante e fiori più presto o più tardi della stagione in cui essi nascerebbero naturalmente e li facciamo fiorire fruttificare più rapidamente del normale. Siamo in grado anche di ottenere piante molto più grandi delle normali, e i frutti di queste piante sono più grandi, più dolci, e differenti in gusto, profumo, colore e forma dagli altri della specie originaria.”

A questo punto è necessario rispondere ad alcune domande: perché l’Istituto agrario è stato fondato nel 1874 ? perché a S. Michele  ?  perché è stato chiamato E. Mach a dirigerlo?

Nel gennaio del 1874, dopo una lunga ed animata discussione, la Dieta di Innsbruck delibera per la fondazione dell’Istituto Agrario di San Michele e nomina suo primo direttore, il Dott. Edmund Mach.

Quali furono le premesse a questa decisione?

Il 1815 è l’anno della sconfitta di Waterloo e del Congresso di Vienna, momento in cui il Trentino passa definitivamente ed ufficialmente dalle mani francesi a quelle austriache.

Il Tirolo torna all'Austria e la storica riannessione viene celebrata solennemente dal popolo e dai sovrani dell'Impero, ma lo stesso sentimento non era condiviso dalle popolazioni del Tirolo meridionale, storicamente più vicini alla cultura lombarda e veneta.

Le condizioni economiche del Tirolo in quegli anni giocarono un ruolo importante nei rapporti tra le popolazioni soprattutto italofone ed il governo austro ungarico ed il ruolo delle condizioni climatiche di quel periodo furono determinanti   a questo riguardo.

 Nel biennio 1815-1816, infatti, sul Trentino (così come sul resto dell’Emisfero Boreale) si abbatte una gravissima carestia, causata da fattori molto diversi tra loro ma che si trovarono unite da una sfortunata concomitanza temporale.

Inoltre nel 1815, la potente eruzione del vulcano indonesiano Tambora rilasciò in atmosfera una enorme quantità di aerosol e pulviscoli vulcanici provocando   in tutto il mondo un periodo particolare che fu ricordato, negli anni a seguire, come “l’anno senza estate”.

Le anomalie metereologiche durante la stagione vegetativa portarono a crescite stentate e produttività ridotte nella maggior parte delle colture agricole di tutto il mondo, ed il Trentino non fu esente da questo fenomeno. Alluvioni, frane  e la mancanza di una rete viaria efficiente resero ancora più difficile la sopravvivenza delle popolazioni di montagna.

La carestia, le malattie della vite e del baco da seta che arrivarono in Trentino nell’800, il sovraffollamento delle comunità agricole, le ridotte dimensioni delle superfici coltivabili e la leva militare obbligatoria imposta dagli Asburgo, spingevano una grande moltitudine di uomini e donne a migrare dai territori trentini. .

I centri urbani che riuscirono più degli altri ad evitare l’emorragia migratoria persero tra il 4 ed il 6% della loro popolazione, mentre i piccoli paesi di montagna o pedemontani persero anche fino al 38% dei loro abitanti.

Vi erano inoltre evidenze sociali non trascurabili che indicavano inequivocabilmente un possibile disagio.  NO Nella prima metà dell'Ottocento, infatti, Trento e Rovereto ospitavano più di 300.000 cittadini italiani, a fronte di una popolazione totale di 315.000 abitanti, mentre nel Tirolo tedesco si contavano poche migliaia di persone di lingua e cultura italiana su un totale di 450.000 abitanti.

Nel 1848, i deputati Trentini chiesero a gran voce al parlamento austriaco di iniziare a concepire il Tirolo tedesco e meridionale come due unità territoriali e culturali differenti, e di annettere il Trentino alla provincia autonoma austriaca del Lombardo-Veneto.

I sentimenti di rivolta sfociano in un fenomeno che passa alla storia con il nome di “irredentismo”. I popoli che condividevano la storia, la cultura, i valori, e la lingua del popolo italiano, desideravano e chiedevano la definitiva annessione ai territori italofoni.

  La situazione inizia decisamente a cambiare nel 1859, nel contesto della II Guerra di Indipendenza. Con l’armistizio di Villafranca, infatti, l’Austria perde il suo controllo sulla Lombardia, dovendo rinunciare ad una parte importantissima dei suoi territori dal momento che questi rappresentavano un punto di snodo fondamentali per il commercio e per il dialogo tra Mediterraneo ed Europa.

La perdita della Lombardia rappresentò quindi un duro colpo per l’Impero asburgico, la cui solidità militare e politica andava via via dissolvendosi. A testimonianza di quanto queste risorse alimentari fossero importanti per la sussistenza del popolo austriaco, va ricordato che la loro mancanza fu decisiva nei risultati militari dell’ultimo anno della Prima Guerra mondiale, il cui epilogo sul fronte tirolese fu determinato dalla fame patita dell’esercito austro-ungarico.

Nel 1866 al termine della III guerra di Indipendenza, il Trentino resta all’impero austriaco, mentre gli Asburgo si vedono costretti a cedere al Regno di Italia il Friuli ed il Veneto. Questo indebolì ulteriormente la potenza militare ed economica austriaca, che si trova -a questo punto- in seria crisi finanziaria.

Per questi eventi è più facile formulare allora queste domande:

Perché San Michele, e perché Edmund Mach?

San Michele, ha rappresentato storicamente un luogo in cui le due anime del Tirolo, quella germanofona ed italofona, si sono sempre incontrate e/o scontrate, con tutti i problemi che questo poteva comportare a livello sociale.

S. Michele è un simbolo del dialogo in una zona di confine culturale, e questo lo rende prezioso agli occhi degli Asburgo, intenti a programmare un riavvicinamento dei due “Tiroli”.

Tuttavia, la storia del luogo racconta di vicende che -inaspettatamente- mostrano San Michele non come un luogo di frontiera, bensì come un luogo di confine, dove le due civiltà si uniscono, si amalgamano, in una convivenza pacifica e costruttiva che si fa substrato di accoglienza di una cultura nuova, inedita e completamente originale

Perché Edmund Mach?

Mach nasce nel 1846, mentre la famiglia si trovava a Bergamo a causa del lavoro del padre che, in quanto medico militare. Frequenta l’Università Politecnica di Praga e, successivamente, di Vienna, l’Accademia Agraria di Hohenheim, nei pressi di Stoccarda. Terminati gli studi, Mach può finalmente fare ritorno in Austria, dove viene assunto, nel 1870, come assistente del suocero August Wilhelm Freiherr von Babo, direttore dell’Istituto Imperiale per la viticoltura e la frutticoltura di Klosterneuburg                               

 Mach risultava essere l’uomo perfetto per dirigere un istituto agrario a duplice attitudine (formativa e di ricerca), avendo vissuto da vicino, da studente e ricercatore, alcune delle realtà con simile vocazione più prestigiose d’Europa. Inoltre, i contatti internazionali che poteva vantare una personalità come Mach, impreziosivano il valore -già straordinario- della sua preparazione nell’ambito delle scienze agrarie

Mach conosceva tanto la cultura austriaca quanto quella italiana, conosceva entrambe le lingue, ma soprattutto le sue esperienze europee avevano forgiato in lui una personalità pacifica, tutt’altro che divisiva, e consolidato in lui la coscienza che solo una reale cooperazione tra uomini porta sviluppo e prosperità.

 Mach si ritrova a San Michele con lo scopo non solo di guidare una rivoluzione agricola, ma soprattutto di riconciliare il Tirolo settentrionale e meridionale.

 Lo spirito con cui il Mach lavorò per sanare la frattura tra Tirolo del sud e del nord fa eco a quello stesso sentimento di condivisione, di apertura mentale, di cosmopolitismo, che animava la comunità scientifica europea dall’inizio del ‘700.

Mach educatore      

A metà del 1800, quasi contemporaneamente in Europa, vengono fondate le più importanti scuole di pomologia, agraria, viticoltura ed enologia del continente, che ancora oggi sono ricordate tra le più prestigiose del mondo.

In Italia La prima scuola agraria in Italia venne fondata a Meleto, nel Chianti, nel 1834 dal M.se Cosimo Ridolfi che introduce tra le materie d’insegnamento la produzione viticola e la trasformazione enologica. Dal 1870 però il Ministero Agricoltura Industria e Commercio (MAIC) stimola le amministrazioni locali a creare delle Regie Scuole Speciali di viticoltura ed Enologia sullo schema delle scuole tedesche e francesi. I risultati furono significativi sul piano del miglioramento della produzione del vino, in una fase di grande trasformazione post fillosserica della viticoltura italiana. La conoscenza dei vitigni realizzata dalla nascente ampelografia si rivelò strategica.

Nel 1879 viene promulgata una legge per la creazione di scuole pratiche  e speciali di agricoltura ,che diventa però operativa per alcune difficoltà burocratiche solo nel 1885.

Nel 1880 nasce Conegliano ed Avellino,nel 1881 Alba,nel 1890 Catania .

Una importante decisione, oltre a quella di associare a lezioni teoriche, ad esercitazioni pratiche, fu quella di istituire in prossimità delle scuole, le cosiddette “stazioni sperimentali”. Di norma, gli stessi professori che durante le ore di scuola erano impegnati nelle lezioni frontali agli studenti, erano anche impiegati come ricercatori presso i laboratori delle stazioni sperimentali, facendo convivere nella loro persona e nella loro professione quel precetto della “scienza utile” di cui l’Illuminismo si era fatto paladino.

 La genialità della classe politica e dirigente francese ed italiana di metà ‘800 fu quella di includere nei programmi scolastici primari e secondari, un proposito di sensibilizzazione alla problematica dell’alcolismo e un percorso didattico che conducesse i giovani scolari a fare propria la concezione del vino non solo come elemento della dieta, ma come un fattore culturale, veicolo di messaggi alti e nobili, specchio di un popolo e di una storia.  Si ricorda che l’alcolismo era nell’800 una piaga endemica nelle popolazioni rurali soprattutto per il basso costo dell’alcole da cereali.

 NO, Si rendeva necessario allora, pensare ad un sistema di formazione per gruppi di giovani che si immettessero nel mondo del lavoro e nel territorio diffondendo tecniche più moderne e conoscenze più approfondite in ambito agrario. Siamo di fronte agli anni più floridi della scienza europea, e iniziano a vedersi -in questo periodo- tutti i gloriosi frutti di una cultura illuministica che aveva gettato le basi per lo sviluppo scientifico e tecnico dell’Europa. Non stupisce, allora, che il progetto del centro di formazione per agricoltori ruotasse attorno a due strategie principali: teoria e pratica.

 

L'intenzione di Mach era quella di rivolgersi anche a chi avesse già ricevuto un'istruzione superiore a quella delle scuole popolari, e che si candidava quindi come futura classe dirigente della regione e che avrebbe potuto svolgere il compito di amministratore aziendale.

 L’avvio per altro, nel 1774, grazie a Maria Teresa, dell’istruzione elementare obbligatoria e la graduale scomparsa nelle campagne trentine dell’analfabetismo, avrebbe consentito nei decenni successivi una più marcata diffusione delle conoscenze agronomiche.

Con i corsi brevi forniti dall'Istituto provinciale di San Michele all'Adige questi agricoltori potevano comunque essere aggiornati o rieducati a modalità più razionali ed efficienti per condurre la propria azienda agricola. Tornando nel loro paese di origine a seguito della breve permanenza presso la scuola, questi agricoltori si facevano forieri di una nuova impostazione agricola, e diventavano -tramite la loro testimonianza lavorativa- dei messaggeri di innovazione

Mach scienziato

La grande intuizione di Mach fu quella di fare convivere, nella stazione sperimentale, sia programmi di supporto al territorio tramite l'indagine chimica dei prodotti enologici, sia piani sperimentali mirati ad approfondire le conoscenze sul processo di vinificazione.

Non bisogna infatti dimenticare che al momento della fondazione dell'istituto di San Michele le teorie microbiologiche sulla fermentazione del vino espresse da Pasteur, si erano affermate da meno di un decennio, e che dunque la ricerca in ambito enologico viveva un momento di grande fervore.

Tra i principali risultati di tutta questa lunga e meticolosa ricerca sono i fermenti selezionati prodotti da San Michele e commercializzati in tutto il territorio austro-ungarico. Più di tutti, ebbe particolare successo nell’Impero un ceppo di S. cerevisae selezionato in San Michele per la sua alta capacità flocculante, e per questo adottato nella Penisola per la produzione di spumanti “metodo classico”. 

Giulio Ferrari studia tra il 1895 ed il 1897 proprio a San Michele, in quel periodo che precede di soli due anni la partenza per pensionamento del suo primo direttore Mach.

La prima grande sfida a cui devono far fronte Mach ed i suoi collaboratori in ambito viticolo sono sicuramente le malattie della vite. La prima tra queste a far capolino in Europa è l'oidio, in Tirolo arriva nel 1853 e San Michele diede un decisivo contributo alla diffusione del trattamento con zolfo ,rimedio individuato due anni prima da un bolzanino,  Ludwig Von Comini-Sonnenberg,  (lo Schwefelapostel),

Nel 1878, un nuovo patogeno prima sconosciuto la peronospora si abbatte sulla viticoltura europea, venendo scambiato inizialmente per oidio.

A quasi dieci anni dalla comparsa del patogeno in Europa, nel 1888, San Michele inizia a seguire una traccia -già solcata da altri analoghi istituti europei, Bordeaux in primis- sulla lotta al fungo. I trattamenti che più di altri forniscono risultati migliori contro la peronospora sembrano essere le miscele di calce e rame.

Bisognerà attendere fino al 1905 prima di poter leggere sugli almanacchi e sui bollettini agrari della regione di piccoli e circoscritti focolai di fillossera in alcuni vigneti poco distanti da Merano.

Ma Mach era morto nel 1901.

 La fillossera inizierà ad essere considerata come un problema concreto per il Tirolo solo a partire dal 1906-1907.

Mach comprende l'importanza e la gravità della questione fillosserica in Europa quando nel 1872, circa 30 anni prima, durante un viaggio di circa sei mesi a Strasburgo (Alsazia, Francia),. redigendo un'importante il resoconto in lingua tedesca dal titolo “Die Phylloxera vastatrix in Frankreich” (Klosterneuburg, 1873).

È questa una curiosa coincidenza, dal sapore quasi profetico, perché contemporaneamente la Dieta di Innsbruck lo sta contattando per la direzione di San Michele.

Prima che la fillossera arrivasse in Tirolo ,( circa 20 anni prima ) Mach diede il via alla costituzione di una grande collezione ampelografica che viene creata nella porzione di vigneti più vicina al complesso scolastico ed arrivò ad ospitare -dopo alcuni anni quasi 500 varietà.

Per ciascuna di queste varietà venivano riportati i dati per la resa in mosto ad ettaro, l’epoca della vendemmia, il grado zuccherino medio dell’uva alla raccolta e l’acidità dei mosti.

La grande intuizione di Mach fu quella di portare a San Michele un grande numero di varietà coltivate da tutta Europa, per verificarne le capacità di adattamento alle condizioni pedoclimatiche della regione.

 Mach, infatti, conoscendo assai bene le importanti opere dei principali ampelografi italiani, spagnoli, francesi, tedeschi e austriaci, sapeva quanto fosse importante procedere nello studio dei vitigni e della loro caratterizzazione per usare l’ampelografia in senso “odartiano”, non solo come collezionismo ma come strumento di comprensione del fenomeno di adattamento di una varietà al suo luogo di coltivazione.

Così come il Riesling, anche le cultivar bordolesi (Cabernet Sauvignon, Merlot, Carmenere noto allora con l’errato sinonimo di “Cabernet Franc”, Petit verdot etc.) ed altre tradizionalmente coltivate in Francia (e.g. Pinot Nero, grigio e bianco, che più tardi si rivelerà essere lo Chardonnay) rappresentavano un target molto interessante per la viticoltura trentina per la produzione di vini da destinare ai mercati esteri, anche se la loro coltivazione rimase molto marginale per la bassa produttività di questi vitigni. 

Ovviamente, l’irredentismo con i suoi insegnamenti “xenofobi”, per così dire, si scagliò furiosamente contro l’introduzione di queste varietà alloctone, identificandole come l’ennesimo prepotente tentativo austriaco di reprimere qualunque sintomo di italianità nel Tirolo del sud e di colonialismo culturale.

Una strategia anticipatoria fondamentale fu quella di inserire nel campo collezione anche una rappresentativa e ben articolata sezione di vitigni europei innestati sui portinnesti conosciuti e commercialmente disponibili all’epoca.

La decisione di Mach risultò rivoluzionaria, ponendosi nettamente in contrasto con tutta la cultura pseudo- o antiscientifica che dilagava in alcune regioni viticole europee in quel tempo. Mach, avendo conosciuto i grandi padri della rinascita viticola post-fillosserica (Victor Pulliat, uno su tutti), si era convinto dell’importanza che avrebbero ricoperto i portinnesti nella ricostruzione della viticultura europea. Quindi, seguendo la sua intuizione di porre in San Michele il baluardo di resistenza alla penetrazione della fillossera in Trentino, Mach credette che fosse necessario valutare l’introduzione del portinnesto nella viticoltura del Tirolo.

Pose anche le basi per la futura filiera vivaistica, che si sarebbe fatta carico della produzione di barbatelle innestate . A questo proposito, Mach ritenne necessaria la progettazione di un vivaio con lo scopo soprattutto di formare i giovani agricoltori tirolesi alle attività di innesto della vite. Gli studenti potevano, durante i momenti di lezione pratica, raggiungere i tecnici esperti di pratiche vivaistiche, ed apprendere le differenti modalità di innesto

 

Il trasferimento del sapere al popolo: le pubblicazioni di San Michele

 

Nel 1838 nasce la Società Agraria Tirolese con lo scopo di migliorare le conoscenze relativamente alle tecniche agronomiche ed alla concimazione, diffuse attraverso il Giornale agrario dei Distretti trentini e roveretani e cicli di conferenze. Questa esperienza tra le prime in Europa fu portata avanti e sviluppata utilizzando opuscoletti e periodici, che avevano come segmento di riferimento quello dei produttori.

 Le modalità di realizzazione erano tutt’altro che facili da affrontare: come riuscire a produrre una comunicazione che fosse tanto efficace per la popolazione tirolese tedesca, quanto per le comunità di matrice italofona.

Mach fu molto abile in questo, riuscendo ad istituire importanti collaborazioni sia con editori tirolesi che trentini. Nel primo triennio di attività dell’Istituto, le divulgazioni della stazione sperimentale venivano affidate alla voce della “Mitteilungen des landw. und Gartenbauvereines”, ossia una rivista in lingua tedesca con lo scopo di comunicare novità e notizie di contingenza agli agricoltori ed agli orti-frutticoltori.

Al contempo, Mach riuscì a pubblicare parallelamente gli stessi contenuti del Mitteilungen nella rivista in lingua italiana chiamata “Agricoltore”, che poteva essere considerata come una protesi “divulgativa” del Consorzio Agrario di Trento, sezione del Consiglio provinciale d’Agricoltura e che vedeva riportate in lingua italiana le medesime pubblicazioni edite mese per mese sul Tiroler Landw. Blätter.

 Solo successivamente San Michele pubblicò il Lunario per l’Agricoltore, sia in arrangiamento tirolese (Tiroler Landw. Kalender), sia nella sua versione ampliata per la parte trentina (Almanacco Agrario). Anche questi due ultimi casi conobbero, fino a subito prima della Grande Guerra, una vastissima diffusione che raggiunse la tiratura di ben 20.000 copie, numeri quasi inimmaginabili per il contesto trentino di fine Ottocento.

Cosa resta della storia di San Michele?

-          In che modo raccontare questa storia agli uomini del 2024?

-          Che cosa rende Mach ed il suo operato soggetti tanto interessanti da studiare, anche dopo 150 anni?

Come affermava il giornalista polacco Ryszard Kapuścinski, “Non esiste storia, se dalla storia non nascono domande”.

 NO Nel 1977, Fernand Braudel (1902-1985), celebre storico francese appartenente alla Ecoles des Annales, pubblica un'opera, dal titolo “La dinamica del capitalismo”.

Nel corso della trattazione, Braudel, impernia alcune argomentazioni sul concetto centrale di “storia ciclica”. L’autore, infatti, sostiene che vi è una ripetitività, un continuo ritorno, nella storia, di schemi già verificatisi. Ovviamente la storia non si ripete mai uguale a sé stessa, muta continuamente nei fatti, negli avvenimenti, nelle contingenze e nelle fattispecie, ma curiosamente si rintraccia, anche in fatti molto differenti e molto distanti nel tempo tra loro, uno schema che appare ricorrente e -per l’appunto- ciclico.

Sono molte le occasioni in cui ci viene ricordato che “chi non conosce la storia rischia di fare gli stessi errori del passato”, oppure che “la società che non conosce il suo passato non ha futuro”, ed è un tentativo più che mai comune quello di giustificare lo studio della storia cercando di cogliere nel passato possibili suggerimenti per affrontare il futuro.

 Molto spesso la maggior parte di queste frasi risuonano come una morale di rito al termine di importanti giornate celebrative di alcuni accadimenti storici. Sono insegnamenti utili e intuizioni interessanti, che presentano però un unico ma importante punto debole: si dimenticano del presente.

Il settore vitivinicolo, sia in Europa che nel resto del mondo, si trova in questo momento faccia a faccia con importanti sfide, che talvolta mettono a serio repentaglio la sua stessa esistenza.

 Se la soluzione dei problemi patologici sono stati risolti attraverso le conquiste della scienza portata dall’Illuminismo, oggi, infatti, possediamo tutti gli strumenti necessari per rispondere, almeno in parte, alle principali problematiche che riscontriamo nel mercato e nel settore produttivo del vino.

Abbiamo la genetica, uno strumento formidabile che ci consente, in potenza, di modificare un ambiente, che produce uve con caratteristiche qualitative che rispondono alle esigenze del consumatore moderno, che combattono con le loro sole forze i principali patogeni

Con la genetica, è persino possibile conoscere a fondo e ibridare nuovi portinnesti che, mai come negli ultimi anni, si stanno rivelando fondamentali alleati contro lo stress idrico e salino. In tutto questo, non possiamo non citare anche il recente arrivo della cosiddetta “Intelligenza artificiale”, uno strumento che in un futuro non troppo distante potrebbe aiutarci a progettare nuovi individui, nuovi ibridi, che rispondano alle esigenze sia del coltivatore che del consumatore moderno. Abbiamo, poi, la tecnologia in senso lato, che ci fornisce un grande potere predittivo. Si pensi ai satelliti o ai droni, assieme ai sensori in situ che ci consentono di verificare lo stato sanitario, idrico, fisiologico della coltura, costituendo un valido supporto alle decisioni  che l’agronomo deve prendere in modo tempestivo ed efficace genoma vegetale quasi a nostro piacimento, producendo piante che si adattano meglio ai nuovi contesti

E ritorna ancora in gioco l’utopismo scientifico auspicato nella Nuova Atlantide di Francesco Bacone, nel 1627che indica in modo lungimirante, ovvero con la generosità di chi sa che deve agire oggi affinché gli effetti positivi dei cambiamenti siano goduti dalle prossime generazioni ed essere serendipitose perché nel cammino che le porta ad avvicinarsi ad un obiettivo, scoprono qualcosa che non stavano cercando e che magari è ancora più bello dell’utopia stessa.      

Troppo spesso, oggi, l’innovazione è temuta come una minaccia che si ritorce contro l’uomo, contro la sua stessa volontà di prendere parte attivamente alla vita del mondo ed alla costruzione della realtà.

Abbiamo le e ali per volare ma non le gambe per camminare.

Non vorrei apparire irriverente nei confronti del Genio di L. Van Beethoven, ma analizzando l’operato di Mach,  intravedo gli stessi valori che Beethoven nel 1824 in piena Restaurazione   esprime nella IX, Sinfonia , nella quale   riafferma i principi dell’illuminismo, della solidarietà ,dell’amicizia  e della gioia. Nel quarto Movimento Il Baritono Canta “Il Nemico è il Fratello”.

Dobbiamo operare come gli uomini del medioevo che nel momento in cui ponevano le prima pietra di una cattedrale sapevano che la fine dell’opera l’avrebbero vista solo i loro pronipoti.

 

E concludo con il discorso promulgato da Mach in occasione dei 25 anni dalla fondazione dell’Istituto si rivela una testimonianza fondamentale per comprendere quali principi lo avessero guidato nella direzione di San Michele, e con quale eredità volle lasciare la scuola, ritirandosi in pensione nel 1899, una sorta di testamento spirituale:

  “Qui, al confine fra due nazionalità non devono manifestarsi profondi motivi di dissenso. Ambedue le nazioni hanno reciprocamente bisogno l'una dell'altra ed anch'esse devono essere animate da benevolenza reciproca. Piccole differenze ve ne sono e ve ne saranno dappertutto; non dovrebbero però mai portare al punto da distruggere il buon accordo. Cerchiamo i legami che ci uniscono, e non le barriere che ci dividono. Amiamo ciascuno la nostra schiatta, la nostra lingua, ma stimiamo ed apprezziamo anche gli altri. Soltanto con la vicendevole giustizia arriveremo a capirci e chi ama la propria nazione non odierà l'altra, perché chi ama davvero non può odiare. Nell'Istituto convivono pacificamente scolari d' ambedue le nazionalità ed imparano ad apprezzare le reciproche buone qualità. Vi prego, conservate tale buona qualità anche nella vita pratica!”

Parole queste che mantengono una stretta attualità in una prospettiva di integrazione della ricerca e formazione regionale ( tra la FEM e Laimburg.)