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MORTI VERDI

MORTI VERDI

Nell’ultimo numero di “Dati INAIL” sono riportati i numeri (la statistica) e le dinamiche degli infortuni nel comparto Agricolo. Numeri che sembrano offrire un quadro confortante in quanto in significativa diminuzione

Una diminuzione soprattutto per quelle “morti verdi” che purtroppo rappresentano un primato assoluto fra i comprati produttivi.

Dalle 151 persone decedute a causa di incidenti sul lavoro nelle imprese agricole del 2019 si è passati alle 113 morti verdi del 2020.

Le cause degli incidenti sono dettagliatamente riportate nel report.

Tutte le Organizzazioni agricole hanno espresso la loro soddisfazione per un risultato che non è certo riconducibile esclusivamente al lockdown adottato da più di un anno a fasi alterne per contrastare il Coronavirus.

Valutazioni tutte condividibili alle quali la nostra categoria, i Periti Agrari e Periti Agrari Laureati, ne vuole aggiungere un’altra.

Era il 1994 quando venne approvata la legge 626. Una norma che poneva al centro del diritto sulla sicurezza sui posti di lavoro la “cultura” della sicurezza.

Strutturazione di responsabilità interne all’organizzazione delle imprese, soprattutto le meglio organizzate, unita ai corsi finalizzati ai diversi ruoli svolti dalle “figure” della sicurezza venne accolta come consueto con atteggiamenti dicotomici: la positività di processi che dovevano tendere a garantire la massima sicurezza possibile sui posti di lavoro; la negativa prospettiva di aggravio delle imprese con ulteriore burocrazia e costi aggiuntivi.

Gli aspetti negativi emersero soprattutto nelle microimprese, e negli uffici professionali che si trovavano ad affrontare un problema che sembrava non coinvolgerli, salvo poi registrare un numero elevato di incidenti anche gravi, che hanno portato anche i Capi dello Stato a richiami forti al rispetto di norme che dovevano trovare piena applicazione in comportamenti coerenti e rigorosi.

La 626/1994 fu aggiornata nel 2008 con il Decreto Legislativo, n. 81 (Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro).

Ma norma nuova non cambia i vecchi vizi e quei numeri che hanno cognome e nome ogni anno segnano le drammatiche statiche dei lutti e delle invalidità delle nostre famiglie.

Cosa fare soprattutto nelle agricolture del nostro Paese? Certamente continuare l’impegno intrapreso, ma soprattutto occorre cambiare paradigma portando l’esperienza di “professionisti qualificati” nelle imprese quali consulenti, accompagnatori, della qualità di un lavoro sicuro. Senza dimenticare la centralità di lezioni che sulla materia sono parte integrante del programma didattico degli Istituti Tecnici Agrari e che si avvalgono di professionisti che vivono quotidianamente la materia. Una prima formazione di giovani studenti (fonte alimentante il rinnovo generazionale delle imprese e delle professioni intellettuali) qualche volta abilitante che promuove e sviluppa cultura della sicurezza. Quella cultura che ancora rappresenta l’anello debole di attuazione della norma.

I costi umani, sociali, ed economici degli incidenti “verdi” sono elevatissimi e sono costi che ricadono drammaticamente sul Paese, e l’applicazione di politiche sulla sicurezza in agricoltura non possono essere demandate a “soggetti” che non abbiano competenze specifiche professionali o a “imprese” della sicurezza.

La sicurezza in agricoltura richiede competenze specialistiche e, pertanto, non può essere delegata a soggetti che si sono specializzati nella redazione dei “documenti” sulla sicurezza ma poco trasmettono sui rischi dell’uso delle macchine agricole, delle stalle, cura degli animali, magazzini, officine, fienili e lavorazioni della terra.

I Periti Agrari e Periti Agrari Laureati insistono nel ritenere che nessun soggetto coinvolto da questo “dramma” debba essere escluso o marginalizzato dal processo virtuoso di trasmettere cultura della sicurezza e per questo oggi più di ieri la cabina di regia su questa materia deve poter contare su una rete di soggetti coordinati, che svolgono compiti chiaramente definiti loro riconosciuti. Senza dimenticare gli enti preposti al controllo, ed in particolare le ARPA che non possono essere relegati a funzione riconducibili al comparto della salute, ma riconoscendo loro d’essere organi che svolgono funzioni tecnico scientifiche pluri e multidisciplinari.

Arriverà forse un giorno in cui gli incedenti in agricoltura dovranno essere “incidenti” causali non riconducibili a responsabilità dell’uomo. Qual giorno potremo affermare che la “consulenza” è madre della cultura della qualità e del valore del lavoro. Investire in “professione” significa pertanto guadagnare in “nazione”. Speriamo che nel Recovery Plan qualcuno se ne ricordi.