FOIBE ED ESODO – UNA MEMORIA DA IMPRIMERE DELLA NOSTRA STORIA
FOIBE ED ESODO – UNA MEMORIA DA IMPRIMERE DELLA NOSTRA STORIA
FOIBE ED ESODO – UNA MEMORIA DA IMPRIMERE DELLA NOSTRA STORIA
Il 10 febbraio il nostro Paese ha celebrato il giorno del ricordo “Massacri delle foibe ed esodo giuliano dalmata”. Una giornata istituita nel 2004 e celebrata per la prima volta nel 2005 che, dopo decenni di oblio storico, ha certamente contribuito a riprendere il cammino di una severa e concreta rilettura di quel tremendo tempo storico.
Porto con me il ricordo di un affollato, commosso e partecipato convegno che organizzai nella sede della Provincia di Brescia nel 1996. La sala era affollate oltre ogni capienza di profughi e di familiari, di storici e di protagonisti di quel tempo.
Organizzai quello straordinario incontro a cui segui quello del Comune di Brescia, presieduto da una della grandi figure della Brescianità l’avv. Trebeschi, non perché avessi una qualche sensibilità particolare, ma perché quell’aria la respiravo ogni giorno, essendo mio suocero e tutta la sua famiglia un profugo Istriano. Respiravo tutti i giorni e ogni giorno quel dolore mai sanato dello sradicamento dalla propria terra, dai propri affetti, dal lavoro, dalla Chiesa, dal mare. Non passava giorno che Albona (oggi Labin), il suo paese natio,, in cui era cresciuto fino a diventare giovane, non occupasse una parte dei colloqui familiari. Telefonate di amici che vivevano la diaspora in Italia e all’estero, di familiari sparsi in quattro regioni, del martirio della sua maestra Cossetto, una bellissima e bravissima maestra. Ed ancora il patrimonio confiscato dal “popolo”. Le tombe del papà, del fratello, degli zii e di volti impressi nella mente.
Nessuno può capire un profugo se non è stato profugo. Nessuno può comprendere il dolore di un profugo che ha la sola colpa d’essere stato e d’essere italiano. L’esodo Giuliano Dalmata, sino alla guerra del Viet Nam è stato l’esodo più imponente della storia dell’uomo. 350.000 italiani abbandonarono tutto e arrivarono in larga parte in Italia, ospitati in diverse regioni italiani, in particolare nel Friuli, nel Veneto, in Lombardia, Piemonte, Liguria. In queste regioni sono state scritte pagine straordinarie di solidarietà civile e umana. Rari furono, invece, i profughi che si stabilirono in Emilia Romagna poiché ciò che avvenne alla stazione di Bologna, è ancora una delle pagine più incresciose della nostra storia. Il treno di profughi polesani arrivò a Bologna il 18 febbraio 1947. Sindacalisti della CGLI e iscritti al PCI diramarono un avviso che se i profughi si fossero fermati per mangiare, sarebbe scattato lo sciopero bloccando la stazione. Il treno subì le ingiurie di giovani che sventolavano la bandiera rossa. Furono tirati sassi contro il treno, alcuni sputarono sui loro connazionali, per dispregio venne versato sul terreno del latte, buttati alimenti, tirati pomodori, alimenti. Sul quel treno viaggiavano bambini e persone denutriti e disidratati.
Il treno arrivò a La Spezia. Un giornalista dell’Espresso si spinse a scrivere un articolo dal titolo: “Chissà dove finirà il treno dei fascisti?” Quei profughi, quei 350,000 italiani, portavano con se la bandiera italiana, il dramma dell’esodo e l’umiliazione di una parte del Paese ostile. Sull’Unità si arrivò a scrivere: “Ancora si parla di profughi”: altre le persone, altri i termini del dramma. Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città. Non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall’alito di libertà che precedeva o coincideva con l’avanzata degli eserciti liberatori. I gerarchi, i briganti neri, i profittatori che hanno trovato rifugio nelle città e vi sperperano le ricchezze rapinate e forniscono reclute alla delinquenza comune non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già così scarso”. Ho conosciuto personalmente migliaia di profughi ma ho incontrato un solo gerarca e qualcuno che aveva combattuto anche con i partigiani. Quasi tutti non avevano mai avuto tessere di partito. Ai raduni con i profughi cercavo spesso di addentrarmi nelle loro storie ed ho sempre incontrato uomini e donne di grande dignità e valore.
Oggi la storia rende onore a 350.000 persone, famiglie intrise di valori, capaci imprenditori (basti ricordare Missoni), lo scrittore Bettizza, Luxardo padre del maraschino, Mario Andretti. Nino Benvenuti, Pamich,e l’indimenticabile Sergio Endrigo), lavoratori straordinari, che portò il sindaco di Brescia Trebeschi a ringraziarli per quell’alto e concreto contributo dato allo sviluppo della città e della provincia e dell’Italia. Ma se anche fatti imperdonabili, frutto di un tempo caratterizzato da ideologie, possono essere riposti nella biblioteca della storia, ciò che rimane per sempre impresso nella carne dell’Italia sono quelle migliaia di uomini, donne e bambini infoibati o ammarati. Rei della propria italianità. Padre Rocchi, in un suo libro storico, ne elencò con cognomi e nomi più di seimila, ma venuta meno la sua ricerca, sono riaffiorate altre Foibe, nell’attuale Slovenia e in Croazia, e a quell’elenco mancano i nomi e i cognomi di soldati, avversari politici, partigiani italiani. La pulizia etnica si copre sotto una bandiera per ripararsi dall’infamia di di sangue innocente e amico.
Quella pagina non si dimentica e la giornata del ricordo oltre che a rendere, almeno l’onore, ai nostri connazionali per le sofferenze patite anche per responsabilità nostre, possa farsi monito per le generazioni future che possano ritrovarsi figli di una nazione, che sventola il tricolore, con uno sguardo a costruire sul sangue innocente versato nel secolo breve una Pace solida, duratura e partecipata. A nome di tutti i Periti Agrari e Periti Agrari Laureati, ricordando lo storico Presidente Bresciano Antonio Cepich, mi stringo forte a tutti i profughi giuliano dalmati e dico loro “grazie” del vostro italico esempio.
Non dimenticheremo, non dimenticheremo.