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ELEZIONI,QUALE GOVERNO

ELEZIONI,QUALE GOVERNO

ELEZIONI QUALE GOVERNO

Che la politica in questo tempo incerto e difficile abbia impoverito il proprio pensiero, e forse disperso il patrimonio storico culturale è a tutti evidente. Così come è palese il “senso” che le fluttuazioni del voto assumono. Solo vent’anni fa quando un partito perdeva decimali di consenso il segretario rimetteva il mandato o apriva una nuova stagione congressuale, chiamando i propri iscritti a riflettere sulle ragioni della regressione. In quelle riflessioni emergevano principi e programmi, che pur evolvendosi col tempo, non disperdevano i propri riferimenti di pensiero, di programma e di stretta relazione rappresentativa delle realtà sociali ed economiche.

La politica camminava con la società e la società era dentro i luoghi della politica. Dopo Mani Pulite, che fece affiorare la degenerazione di quella politica, e la disgregazione e deflagrazione dei partiti tradizionali, la scena politica nazionale si è infoltita di partiti programmatici, senza pensiero e senza storia. Una politica che anziché generarsi dal progetto di società a cui far partecipare la società ha cambiato direzione diventando la rappresentazione delle emergenze e dei problemi della società. Una politica che ha abdicato al proprio ruolo di accompagnamento dei processi, diventando i contenitori di attese e domande. Queste dinamiche hanno di fatto liberato gli elettori dal “senso” di appartenenza al disegno, al progetto, al partito politico, relegandolo a arbitro esterno di arene politiche. Da anni ascoltando e confrontandomi con leader ed esponenti politici, anche autorevoli, fatico a rigenerare qualche passione.Le riflessioni sulle ricette per curare il malato (che si cronicizzando) potrebbero anche essere in parte condivise, e devo dire che tutti i partiti hanno premesse e contenuti programmatici in parte condivisibili, ma ciò che manca è quell’anima, anche conflittuale che ha generato la grandezza del nostro Paese. E così siamo destinati a seguire un teatro che appare ai più ormai scontato. Una scena da seguire con un atteggiamento critico, riluttante, in alcuni casi uno scenario da seguire senza partecipare alla sua rappresentazione (tanto è sempre uguale). Mai come in questo tempo affiorano anche le contraddizioni strumentali della politica. Rosato dopo la sconfitta del referendum sul sistema elettorale e sulla modifica del ruolo del Senato, avrebbe fatto meglio a scrivere poesie o le sue memorie anziché cercare un’estenuante mediazione su un modello elettorale che ha salvato solo i leader. Guarda caso l’unica novità introdotta, il tetto del 3 %, ha estromesso dal palazzo alcuni nomi eccellenti della politica italiana. Ed oggi, a pochi giorni dal risultato elettorale in cui i vincitori occupano spazi rilevanti, ma insufficienti dell’emiciclo parlamentare. Sembra riecheggiare quel “Vae victis”, guai ai vinti, che Brenno avrebbe esclamato ai romani che si lamentavano per l’esosità di oro versato su una pesa alterata.

I vincitori rivendicano responsabilità istituzionali che invece sono il frutto di quel luogo il Parlamento dove le scelte si compongono sostenute da maggioranze e le maggioranze sono frutto di sistemi elettorali che ne favoriscono la composizione. È il solito gatto che si morde la coda. Del resto anche Martinazzoli acerrimo difensore delle prerogative parlamentari, dovette arrendersi alla inadeguatezza di un sistema politico che trascina con sé anche l’indebolimento del Parlamento e della sua funzione, convertendosi alla proposta di un’Assemblea Costituente a cui demandare la funzione di riformare il modello democratico italiano.

Per il resto forti di un Presidente della Repubblica, solida garanzia democratica e costituzionale del Nostro Paese, rimaniamo in attesa di “avvenimenti”, che tutti si augurano possano essere frutto di intelligenza, responsabilità e senso democratico.