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IL CORAGGIO DI SCELTE STRATEGICHE INNOVATIVE

IL CORAGGIO DI SCELTE STRATEGICHE INNOVATIVE

 

 

Ci sono alcuni termini che diventano parole d’ordine che in ogni intervento istituzionale, politico o sociale appaiono come stelle comete.

Eppure, quelle parole vivono condizioni di continua dicotomia, ovvero contraddizione con la loro vera attuazione.

Non che questa affermazione sia conferma di un “non si fa nulla”, ma che invece occorra riprenderle “in  mano” per manipolarle con cura e, con un diverso impegno riscriverle in  bella calligrafia.

Queste parole per il mondo articolo sono “rigenerazione giovanile” che non è solo un ricambio generazionale e “innovazione”.

La prima dai dati che ogni giorno vengono presentati dagli istituti di ricerca è strettamente legata alla seconda. Le aziende che si sono sviluppate e innovate sono proprio quelle che sono gestite da giovani e con titolo di studio di secondaria superiore o universitario.

Eppure guardando al nostro “modello” produttivo agricolo registriamo che alcuni fattori non sono mai affrontati con quella visione di rete indispensabile ad affermare che “chi ha una rete ha un tesoro, chi a più reti ha un tesoro ancor più grande” (Renato Brunetta).

Forse è proprio nella rete, che nel nostro paese ha buchi talmente grandi che non favorisce alcuna pesca, che sta il male maggiore.

Incomincio dall’innovazione con una affermazione positiva “il nostro paese ha istituti di elevato e comprovato spessore tecnico scientifico”. Basti citare il CREA, il CNR, ENEA, Università, gli enti regionali, porto con me la positiva esperienza dell’ERSAF in Lombardia, senza nulla togliere al valore di tuti gli altri Centri di Ricerca che si occupano di agricoltura, ambiente, energia. Enti che spesso vedono anche la partecipazione di nostri iscritti. È recente la nomina nel consiglio d’amministrazione del Centro di Ricerca di Locorotondo del collega Palmisano. Eppure, quei centri che sfornano un numero elevatissimo di “risultati” innovativi faticano a trasferire questo patrimonio alle imprese.

Non occorre certo un analista per comprendere che al raccordo ricerca – sperimentazione – scuola e università, imprese agricole mancano, ovvero sono deboli, le cinghie di trasmissione.

Basti pensare come gli Enti di ricerca non abbiano un raccordo strutturato con i più di centoventi Istituti Tecnici Agrari e spesso anche con le università. Questo fenomeno ha reso debole la nostra assistenza tecnica agraria, delegata ormai essenzialmente alla vendita dei prodotti.

Fenomeni di invecchiamento degli imprenditori agricoli, di ritardo innovativo, di mancanza di capacità organizzativa anche in società/cooperative, di abbandono e di desertificazione delle aree interne e marginali, sono elementi fra loro connessi.

Anche le scuole agrarie, spesso considerate di serie B) e gestite non in autonomia, arrivando all’assurdo di dimensionamenti gestionali che prevedono Dirigenti che devono gestire scuole primarie e Istituti Tecnici Agrari, vivono un momento di difficoltà. La mancanza di orientamento acuisce anche la scelta di famiglie che si rivolgono ai licei come il lugo di migliore qualità educativa. Forse non hanno studiato né Cosimo Ridolfi, né la storia degli Istituti Tecnici Agrari Italiani.

La riflessione di che connessione ci sia fra la rigenerazione giovanile e la scuola non richiede alcun sforzo intellettuale. I parcheggi e la loro scelta della vicinanza che hanno ai supermercati non aiutano a raggiungere negozi di alta qualità.

Io credo, e continuo ostinatamente a credere che la scuola agraria debba essere gestita non solo dal MIM, ma anche e, forse soprattutto, dal MASAF, che insieme ai professionisti, ai tecnici dell’area agricola e alle imprese affronti non solo i contenuti dei programmi didattici, ma anche e soprattutto quell’alternanza scuola/lavoro che min agricoltura non può essere conteggiata a poche decine di ore.

Io credo, e continuo ostinatamente a credere che le Scuole Tecniche Agrarie debbano rientrare a pieno titolo nelle politiche di rigenerazione giovani della PAC e non possano rimanere nemmeno al margine.

Io credo, e continuo ostinatamente a credere che la rete che deve trascinare tutto il pescato dell’agricoltura sulle tavole degli italiani debba trovare e riconoscere la piena cittadinanza, il ruolo insostituibile ed essenziale dei professionisti, Periti Agrari e Periti Agrari Laureati e degli Agronomi.

Ma vi è macigno da rimuovere, che ostruisce questo progetto ed è il non riconoscere i professionisti, l’Ordine e il Collegio come corpi intermedi della nostra società e soprattutto per il nostro agroalimentare.

Il silenzio e spesso l’inadeguatezza del decisore istituzionale portano altrove. Portano ad una PAC e a politiche nazionale da tempo ormai lontane da scelte coraggiose e strategiche che non elargiscano elemosina ma promuovano politiche e processi di diffuso (nord, centro sud), coinvolgente e concreto sviluppo.

Il Presidente

Per. Agr. Mario Braga