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PROFESSIONISTI E INNOVAZIONE IN AGRICOLTURA

PROFESSIONISTI E INNOVAZIONE IN AGRICOLTURA

Cosa c’entrano i professionisti con l’innovazione e lo sviluppo agricolo?

In molti credono che i processi di cambiamento delle “nostre agricolture” possano essere frutto di processi indotti da dinamiche che nascono, si sviluppano e si affermano “fuori dalle agricolture”.

Industrie chimiche, meccatroniche, sementiere, di produzione dei mangimi e integratori ecc., che, investite e coinvolte dai processi di globalizzazione, sono diventate multinazionali, qualche volta monopolizzanti interi comparti produttivi, hanno certamente al loro interno comparti di ricerca e sperimentazione di particolare livello.  Ricerca che si sviluppa nel più rigoroso e attento isolamento. Del resto, si sa, lo spionaggio industriale non va mai in vacanza, ne cessa mai l’attività. Parallelamente, e per garantire una trasparente, chiara e diffusa applicazione delle innovazioni i Paesi più sviluppati hanno promosso un modello di ricerca pubblico/privato, entrambi interconnessi, con lo Stato garante delle finalità della Ricerca, del suo orientamento, della sua applicazione e diffusione.

In Itali, da decenni, stiamo affrontando il problema in modo episodico, saltuario ponendolo in quell’arena di competenze fra i diversi “livelli e luoghi” dello Stato che tendono ad autolegittimarsi.

Nel 2019 siamo chiamati a constatare ad una accentuata diaspora di competenza fra soggetti che si occupano di ricerca. Ministeri vari, Regioni e qualche volta anche le anestetizzate Province si occupano e gestiscono centri che sono definiti di ricerca. Una ricerca che forse andrebbe valutata nel costo rapportato alla efficacia e alla qualità dei suoi risultati. Valutata nella sua capacità di trasferirsi nei “luoghi” della sperimentazione al fine di coinvolgere quell’ultimo anello che sarà chiamato ad applicarla. Valutata nella sua connessione con il territorio.

Ma, lo sappiamo, ogni processo, ogni modello, ha bisogno di letture, progetti, azioni e scelte lungimiranti. Ogni modello non può che affermarsi su due livelli: la competizione e la collaborazione. Due principi che proprio nel settore agro-alimentare sembrano apparire dicotomici, ma che invece sono frutto di un unico valore a doppia immagine. Competizione che dovrebbe concretizzarsi su un piano di obiettivi qualitativamente rilevabili. E chi, se non i soggetti destinatari di quei risultati, può essere il miglior giudice. Collaborazione nell’utilizzo di luoghi (aziende, impianti ecc.) e strumentazioni, per efficientare l’utilizzo di un patrimonio che in Italia ha un valore elevatissimo. Quello della Lombardia gestito dalla Regione, si stima, superi ampiamente i 100 milioni di Euro. La mancanza di collaborazione, anzi, qualche volta le tensioni fra i diversi soggetti della ricerca è affiorato dimostrando, ancor di più la chiusura nei propri fortini della frantumata ricerca italiana in agricoltura. L’impoverimento e l’appiattimento della ricerca, qualche volta la fuga dei cervelli più dinamici e vivaci, fenomeni attenuati solamente da qualche sprazzo di qualità di qualche università e, lo ripetiamo, dei privati; ha portato ad un fenomeno di impoverimento e di appiattimento dei ricercatori, in parte demotivandoli.

Ma vi sono altri due anelli deboli (inesistenti?) del nostro modello di ricerca, l’assoluta mancanza di relazione fra i soggetti della ricerca e i nostri Istituti Tecnici Agrari, che storicamente si avvalgono per formare i Periti Agrari (li chiamiamo ancora così Signor Ministro?) di “aziende agrarie” connesse con la scuola: terreni e strutture di allevamento, serre per produzioni florovivaiste, laboratori di trasformazione dei prodotti agrari, laboratori chimici e di micropropagazione, sale informatiche ecc. Più di cento realtà che hanno potenzialità enormi per essere il riferimento della sperimentazione dell’innovazione agroalimentare Italiana.

Torniamo, infine, alla domanda iniziale, ma davvero qualcuno pensa che il trasferimento innovativo possa avvenire per auto-processi sporadici, strumentali e interessati, oppure per naturale contaminazione, caso mai favoriti dal trascinamento di qualche illuminato imprenditore?

L’investimento di impegno, denaro e tempo, il rischio d’impresa degli imprenditori sempre elevato (vista la volatilità dei prezzi dei prodotti agricoli), l’incertezza normativa, la frammentazione gestionale delle Regioni, impongono che l’innovazione, processi e strumenti, debba trovare veicoli culturalmente e professionalmente dedicati che l’accompagni all’innesto nelle imprese agrarie e agroalimentari. Per questo, non solo va riscoperto il ruolo dei professionisti nel comparto agricolo e agroalimentare (ambientale), ma, nella PAC vanno riviste le modalità d’investire i fondi Europei nella consulenza aziendale. Risorse che andrebbero inserite in un grande progetto di diffuso sviluppo delle agricolture, dell’agroalimentare (sentinelle dell’ambiente) che non potranno attuarsi se non verrà riconosciuto il ruolo essenziale, indispensabile e centrale della scuola, dell’università agraria e dei professionisti per innovare e rinnovare l’imprenditoria, le imprese agricole e agroalimentari.

 

                                                                                                           Per Agr Braga Mario

                                                                                                          Presidente CNPAPAL